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“CON IL CUORE SUL TETTO DEL MONDO”
di Luigi Zanin
NEPAL/EVEREST – 14 OTTOBRE / 1 NOVEMBRE 2005
Introduzione:Quando nel marzo del 2005 l’amico Stefano Varponi, al termine del test d’idoneità sportiva, mi propose di accompagnarlo nella spedizione scientifica che l’Università di Padova stava organizzando in autunno all’Everest, ho provato una grand’emozione: forse sarei riuscito ad avvicinarmi a quel ’obiettivo di “un 8.000” che una decina d’anni prima avevo sognato di realizzare.
Ho subito pensato di garantirmi una buona condizione alpinistica e per questo durante l’estate ho rivissuto, dopo oltre 30 anni, le emozioni dell’arrampicata sportiva sulle pareti dolomitiche delle Torri del Sella e dei ramponi sul ghiacciaio della Marmolada assieme a Stefano e con la guida alpina Erwin Ritz. Ho anche cercato di acquisire le conoscenze-base in materia di cause, sintomi, effetti e prevenzione dei rischi fisiologici e patologici in alta quota e a tal fine mi è stata di grande aiuto il libro di medicina d’alta quota “Going Higher” di Charles Houston che nella sua introduzione afferma: “…ovviamente, il modo migliore per scongiurare il mal di montagna è quel o di…rimanere a casa”! Il consiglio non l’ho certo considerato: mi sentivo sicuro visto che con me ci sarebbero stati molti medici alpinisti ed in ogni caso confidavo sulla mia generale buona forma fisica di maratoneta e sciatore di granfondo.
Clara, mia moglie, con la sua disponibilità mi ha aiutato nei preparativi e mi ha sostenuto con il suo affetto.
Con queste premesse sono riuscito a “vivere” il Nepal che nello scorso mese ha fatto parlare di sé tutto il mondo per i problemi politici che lo travagliano da tempo; “conoscere” la ricchezza del a sua storia e delle sue tradizioni, ” percepire” la sua spiritualità, “vedere” l’umanità e la povera dignità del suo popolo, “ammirare” le straordinarie bellezze dei luoghi e della sua natura, “sentirmi dentro” solo ed allo stesso tempo in intimo contatto con le persone care lontane migliaia di chilometri.
Tutte le nostre attività sono legate al “nostro esclusivo viaggio nel a vita” e più che una performance “alpinistica” la mia è stata l’occasione di “mettermi in viaggio, di inseguire un sogno per appagare una sete di conoscenza, di entrare in sintonia con tutto quel o di nuovo che ho incontrato e che mi ha arricchito interiormente”: Kathmandu, la Valle del Khumbu, l’Himalaya e l’Everest, la popolazione Sherpa, i miei limiti.
Spero che questi appunti possano trasmettere al lettore una parte delle emozioni, sensazioni, suoni, colori e profumi, che mi sono portato da questo viaggio e che ancora conservo dentro di me.
APPUNTI DI VIAGGIO
Venezia-Milano: venerdì 14 ottobre
Fosse stato “Venerdì 13 “sarebbe stato tutto molto più chiaro!
Incredibile ma vero! Alla fine sono riuscito nel ’impresa che probabilmente sarà classificata
come la più “sfidante” del ’intera spedizione: raggiungere l’aeroporto di Milano in tempo
per il volo Malpensa - Bangkok delle 14,30.
Alle 9.00, assieme a Stefano, partiamo da Venezia con la cattiva notizia che Stefano non
si sarebbe imbarcato con noi a causa dei problemi di salute del a figlia Cristina.
Ho così modo di conoscere i primi due compagni di viaggio: Francesca ha un viso molto
aperto e dolce, è un po’ pal ida, segno di tanto tempo trascorso in ospedale ad occuparsi
del a salute degli altri. Parla poco e sottovoce e pare all’inizio timida ma si capisce che è una grande appassionata di montagna. Maurizio invece, abbronzato e di struttura molto forte forgiata da anni di voga e passione per il remo, manifesta subito la sua estroversione ed il suo sorriso sfavillante.
E’ una bella giornata di sole e in autostrada procediamo speditamente sino a quando, dopo un rabbocco di carburante ed un caffè, al ’altezza di Soave San Bonifacio (VR) una colonna di auto ci costringe prima a rallentare e poi a fermarci definitivamente. Impegnati a parlare delle nostre esperienze ed al ietati dalle belle musiche dei CD di Stefano non abbiamo subito dato peso all’evidente agitazione di altri automobilisti che, lasciata l’auto, nervosamente passeggiavano in autostrada. Era trascorsa più di mezz’ora quando abbiamo appreso che l’autostrada sarebbe stata bloccata ancora per diverse ore a causa di un incidente: Addio Everest!Con Maurizio convinciamo Francesca - che nel frattempo aveva cominciato ad agitarsi assumendo un colorito più “sanguigno” – di lasciare Stefano in compagnia degli U2 e di “scalare” con l’ingombrante equipaggiamento di zaini e borsoni da trekking le reti e le barriere protettive di recinzione dell’autostrada per raggiungere la tangenziale di Verona che correva a poche decine di metri di distanza: per fortuna eravamo allenati e…pronti a “tutto”! Raggiunta la tangenziale, mentre Maurizio e Francesca cercavano disperatamente di fare l’autostop, ho pensato di chiamare al telefonino un mio cugino che abita a Verona: “Luigi mi dispiace, ma sto raccogliendo funghi a Bressanone” è stata la sua risposta! Roba da svenimento. Allora chiamo un taxi e dopo mezz’ora di peripezie riusciamo nel rendez-vous: un giovane tassista con una potente Audi familiare capito il nostro dramma accetta la “sfida” e, a 200 l’ora, riesce a portarci in tempo (Verona Est-Malpensa 1 ora e 40’) a Malpensa dove l’aereo della compagnia Thai ci aveva concesso uno slot d’imbarco limite al e 14: 00! Milano - Bangkok
A 10.000 metri d’altezza, osservavo il deserto il uminato dalla luna, quando, quasi
d’incanto un insieme galleggiante di candidi cumuli di nubi si è fatto notare all’orizzonte per
i bagliori dei lampi che al loro interno li illuminavano ad intermittenza con bagliori
improvvisi: forse qualcuno nell’alta atmosfera festeggiava un nuovo “Redentore?”(Festa
del Redentore a Venezia famosa per la serata di fuochi d’artificio sull’acqua in bacino San
Marco che si svolge ogni anno la terza domenica di Luglio a conclusione dei
festeggiamenti in ricordo del a liberazione della città dal a peste nel 1577).
Bangkok si è presentata alle luci di un’alba rosa con i primi raggi di sole che facevano
bril are il mosaico dei verdi appezzamenti di risaie che ci venivano incontro in fase di
atterraggio.
Durante la sosta di un paio d’ore a Bangkok ho conosciuto gli altri compagni di viaggio:
una ventina di medici alpinisti provenienti da tutta Italia e una guida alpina di Bolzano con
gli organizzatori del corso prof. Corrado Angelini e dott Andrea Ponchia.
Bangkok – Kathmandu: sabato 15 ottobre – domenica 16 ottobre
Dal ’oblò del Boeing che mi portava a Kathmandu ho pensato che fossero ancora una
volta delle nuvole quel e masse bianche che vedevo all’orizzonte. Poi, definendosi meglio
il panorama dovetti ricredermi: erano cime innevate, che si elevavano per centinaia di
metri oltre le nuvole più alte.
Così il Nepal mi ha presentato il suo biglietto da visita: la catena Himalayana che mi
avrebbe accompagnato lungo il viaggio, tutti i giorni.
IL NEPAL
Il Paese si presenta come un rettangolo imprigionato tra il Tibet (Cina) a nord lungo il 30°
paral elo e l’India con cui confina sugli altri tre lati. Prevalentemente montuoso, il paese
comprende la sezione più elevata dell'imponente sistema himalayano con otto dei 14
“ottomila” della terra tra cui le vette dell'Everest (8848 m), del Kanchendzonga, Lhotse,
Makalu, Cho Oyu, Dhaulagiri Manaslu e dell'Annapurna.
KATHMANDU
Il primo contatto con la città l’ho avuto subito nel tardo pomeriggio del giorno del ’arrivo:
assieme a Maurizio durante la nostra passeggiata siamo entrati in un’atmosfera nuova,
quasi medioevale.
Persone dai lineamenti indo-asiatici, uomini un po’ dimessi ma dallo sguardo fiero ed
intel igente, donne avvolte nei loro sari dai dolci colori, stradine in terra battuta, palazzi in
mattone rosso con poggioli e finestre dai tenui colori in legno finemente intarsiato, pali
elettrici culminanti con un groviglio indescrivibile di cavi, negozietti multicolori con le
mercanzie esposte a terra e sulle pareti esterne, variopinti risciò che si fanno largo a suon
di campanello, motorette che in competizione con pedoni-risciò-auto-minibus scassati
strapieni di persone, ti sfidano in una “corrida” al limite del ’equilibrismo estremo.
Due vacche sacre ruminavano sul ciglio sinistro del a strada polverosa nei pressi di un
altare Indù a fianco del quale vecchi venditori senza età di frutta e di collane florerali erano
seduti in attesa dei loro clienti.
Poco lontano nei pressi del tempio di Rani Pockhari alcuni ragazzini scalzi tentavano di far
alzare in volo un piccolo aquilone, quando un giovane ambulante di balsamo tigre
“tarocco” mi ha convinto per esaurimento ad acquistare tre vasetti del noto unguento
offrendosi di accompagnarci a Tamel. Qui abbiamo visitato lo Stupa di Kathesimbu dove
prima della chiusura della giornata fedeli d’ogni età e condizione sociale pregano
accendendo lumini e facevando girare i rul i di preghiera posti ai lati del cortile. Subito
accanto, in un piccolo tempio Indù, una donna stava facendo una puja offrendo petali di
fiori e suonando la campanella per avvertire le divinità.
In Nepal le due principali religioni induismo e buddismo convivono in armonia. Per gli
indù, infatti, non è inusuale andare a pregare in un luogo di culto buddista, poiché il
Buddha è visto talvolta come l'incarnazione della trimurti indù (formata da Brahma, Vishnu
e Shiva).
L’imbrunire calava lentamente un velo su queste prime immagini ed evidenziava, in
contrasto la modernità del e svariate, insegne al neon d’Agenzie Viaggio, Pub, Ristoranti e
Pizzerie, Negozi di Souvenir, Cambiavalute, Posti telefonici, e Internet Cafè.
Il giorno seguente abbiamo visitato sull’altra riva del fiume Bagmati Patan (luogo della
bel ezza
) ritenuta la più antica città buddista del mondo, dove la leggenda vuole che a
Patan abbia vissuto per un periodo Gautama Buddha.
Camminando lungo le sue strette strade ho ammirato Il fascino antico, del e case, il
vecchio Palazzo Reale e Durbar Square che comprende palazzi antichi a pagoda costruiti
con mattoni rossi e con travi e finestre di legno intarsiate (fiorentino), pagode buddiste,
santuari induisti contigui in una mescolanza di stili e religiosità affascinante. Nel a
piazzetta a lato da fianco del tempio di Krishna Mandir alcune donne avevano disteso sul
selciato delle granaglie al sole: la città era “vissuta” dagli abitanti anche per risolvere nel
quotidiano queste semplici ed essenziali esigenze.
Giudicando dal a costanza con la quale i ragazzini venditori di souvenir mi “circondavano”
era chiaro il mio inconfondibile look di turista che aveva attirato anche l’attenzione di un
paio di santoni indù che con la coda dell’occhio avevo visto mettersi in posa per
promuovere foto e conseguente “offerta”. L’escursione ai dintorni di Kathmandu è
proseguita nel pomeriggio con la visita allo Stupa di Swayambhunath: un tempio buddista frequentato anche dagli indù e conosciuto anche come il “tempio delle scimmie”.
Swayambounath che si trova in cima ad una verde collina ad ovest di Katmandu è di fondamentale importanza per gli abitanti del Nepal. Esso risale, infatti, ad oltre duemila anni fa ed è perciò il tempio buddista più antico del mondo. Per raggiungere la sommità del a collina di Swayambhunath pellegrini e visitatori devono salire 365 gradini, uno per ogni giorno dell'anno. Questo tipo di struttura architettonica è comune nella cultura indù-buddhista, che concepisce i templi quali rappresentazione in scala minore dell'ordine cosmico. La stessa terrazza principale di Swayambhunath è costruita come un gigantesco “Mandala” (cerchio) che indica un diagramma cosmologico utilizzato per la meditazione. Qui santuari, statue, templi minori sono posti attorno allo Stupa in punti determinati dal disegno sacro.
L’atmosfera che si respira con la visione della valle di Katmandu e lo sfondo del a bianca catena Himalayana è mistica: l’odore d’incenso, il canto del a mantra “Om Mani Padme Hum” (sia lode al a purezza del prezioso fior di loto) proveniente dal tempio, le bandiere multicolori di preghiera appese alla sommità del o Stupa, gli Occhi del Buddha, dipinti sui quattro lati al a base, i sacerdoti che pregano camminando in senso orario lungo il perimetro del tempio azionando le ruote di preghiera, i fedeli che portano le offerte (riso, semi, fiori…) ti portano “fuori dal tempo e dal o spazio” e se non fosse stato per Maurizio avrei certamente perso l’autobus che mi doveva riportare all’albergo.
VERSO L’EVEREST
Le tappe del trekking:
Start: Lukla
1° stop: Monjo
2° stop: Namche Bazar
3° stop: Tengboche
4° stop: Pheriche
5° stop: Pyramid CNR
6° salita al Kala Pattar
7° rientro via Dingboche
Kathmandu – Lukla-Monjo: lunedì 17 ottobre – altitudine 1350 – 2.840 m.
E’ stato quasi un sol ievo salire a bordo del piccolo bimotore STOL -Twin Otter a 18 posti
che ci avrebbe portato a Lukla punto di partenza della nostra avventura: ero ansioso di
cominciare il viaggio verso l’Everest.
In volo ho rivisto dall’alto Kathmandu e le verdi vallate circostanti con le piccole case degli
agricoltori e le coltivazioni terrazzate che, come una grande scalinata, risalivano i versanti
del e montagne.
Assorto da quel e bellezze naturali quasi non davo attenzione al richiamo di Rayendma
Shaya e Silwal rispettivamente comandante pilota e copilota dal o stesso cognome che mi
additava la visione, in lontananza dell’Everest!
Pochi istanti dopo atterravamo - trattenendo un po’ il respiro - sulle poche centinaia di
metri di pista “in salita” del piccolo aeroporto di Lukla voluto da Edmund Hilary dopo la
conquista dell’Everest nel 1960.
Scaricando i bagagli ho subito fatto conoscenza con le guide (sirdar) ed i portatori Sherpa
dai lineamenti senza età, giovani di bassa statura esili e sorridenti.
Sempre a Lukla il nostro gruppo si è arricchito anche di tre medici alpinisti nepalesi Mani
Gautam, Ratna Mani e Soni Srivastav.
Dopo un pasto a base di riso e verdure al 'Himalaya Lodge ed aver provveduto alla scorta
d’acqua da bere, partiamo per il trekking di circa cinque ore lungo una stradina che
attraversa le piccole case di Lukla e che, subito fuori del paese diventa un sentiero di sassi e rocce che è un continuo sali-scendi per attraversare su ponti sospesi gli affluenti del fiume Dudh Kosi ed arrivare a Monjo (2.835) Lungo il cammino incrociamo altri di trekkers, portatori e Dzos che, frutto d’incrocio fra Yak e mucca, rappresentano l’unico mezzo di trasporto in val e del e merci fino a circa 4500 metri d’altezza (oltre solo gli Yak sono in grado di svolgere questo compito). Il paesaggio che s’incontra è verdeggiante e le poche case bianche e azzurre e tea house che troviamo lungo la via sono abbel ite da fiori (dalie) tende variopinte e pennoni votivi con stendardi multicolori. Per la prima volta mi rendo conto del a resistenza dei portatori che sulle gerle tenute sul e spal e e ancorate al corpo da una fascia che fa leva sulla loro fronte riescono a portare oltre ai pochi effetti personali anche due sacche per un peso complessivo che si aggira sugli 80 chili! Camminando si portano al seguito un supporto a “T” che dapprincipio avevo scambiato per un bastone ma che serve loro per appoggiare la gerla nelle soste per riprendere fiato e recuperare le energie.
Monjo – Namche Bazar: Martedì, 18 ottobre – altitudine 2835 - 3440m
La prima esperienza di pernottamento in “lodge” è stata tutto sommato soddisfacente con
la scoperta dei servizi igienici “esterni”, l’utilizzo della lampada frontale e …i tappi di
silicone per non sentir russare Maurizio nella brandina a fianco.La fresca aria di prima
mattina ti mette subito il buonumore. Lasciamo Monjo alle spal e e raggiungiamo l’accesso
al Parco Nazionale dell'Everest (Sagarmatha National Park) Il trekking poi prosegue,
seguendo il Dudh Kosi con un percorso mozzafiato, attraversando parecchie volte il fiume
sui tipici ponti di legno o sospesi in acciaio. Dopo una ripida salita di 600 metri, si arriva a
Namche Bazar (3.440m) una grande città-mercato Sherpa, brulicante di turisti e
commercianti, dominata ad est ed ovest dalle cime innevate del Thamserku (6.648m), del
Kwangde (6.224m) e a nord dalla sacra montagna del Khumbila (5.707m). Ho imparato i
nomi di queste montagne da Bir Kaji Gerest la guida Sherpa che, in testa, apriva il gruppo
e con cui ho cominciato a dialogare più con cenni che a parole, vista la sua quasi totale
mancanza di conoscenza delle lingue. Bir Kaji sarà per me “vitale” nel prosieguo del
trekking.
Namche è il crocevia obbligato di tutte le spedizioni che vanno all’Everest qui numerosi
negozi vendono una grande varietà di prodotti, compresi generi alimentari e articoli locali
in lana. Vi si trova anche l’unico Internet point e posto di telefono pubblico da dove sono
riuscito a comunicare con moglie e figli.
Namche Bazar: Mercoledì, 19 ottobre – altitudine 3440m.
Per evitare il mal di montagna, trascorriamo un giorno di acclimatazione a Namche presso
l’omonimo Lodge dove riesco a fare una doccia calda all’esterno mentre “il bucatino” lo
vado a fare in paese alla fonte “ghiacciata” dove ogni tanto arriva qualche “dzos“ ad
abbeverarsi.Nel corso del a giornata effettuiamo un’escursione sopra la valle di Namche a
Syangboche che ospita la più alta pista di atterraggio della val e del Khumbu a 3.720
metri; a Khunde dove si trova l'ospedale della Sir Edmund Hillary Foundation gestito da
medici volontari stranieri e a Khumjung, dove abbiamo visitatol monastero buddista dove è
conservato il presunto scalpo di uno Yeti che a me ha dato l’impressione d’essere una
grande “noce di cocco sottovetro”!
Namche Bazar – Tengboche: Giovedì, 20 ottobre – altitudine 3440 - 3860m
In una bel a mattinata di sole lasciamo Namche e … la civiltà per andare nel a parte del
viaggio dove non troveremo più grandi insediamenti e dove apprezzeremo meglio i silenzi
e la natura.
Il mio raffreddamento non molla ed ho cominciato a prendere dosi crescenti di paracetamolo e antibiotico.
Passata Namche, dopo circa un'ora e mezza, al di sopra delle eleganti creste del Nuptse (7.861) si innalzano le vette dell'Everest (8.846 m) e del Lhotse (8.501 m), la quarta montagna più alta del mondo: uno spettacolo indescrivibile con l’Everest che per la lontananza non sembra poi “così alto”!Procediamo con buon ritmo e, visto il mio stato di salute, cammino senza lo zaino che gentilmente una delle guide Sherpa porta per me.
La tappa prosegue alta a mezza costa sopra il Dudh Kosi nella prima parte, tra splendidi scorci di cime come il Thamserku, il Kangtega (6.679m.) e l'Ama Dablam (6.812m.); da Teshinga (3.450m.) il sentiero scende velocemente all'ultimo ponte sul Dudh Kosi a Phunkh Tanga (3.250m.).
Da qui un'altra ripida salita di 600 metri conduce tra abeti e rododendri al monastero di Tengboche (3.8). Intanto in quest’ultimo tratto il tempo cambia e, nell’ultima parte della salita, ci sorprende un forte acquazzone. Purtroppo io ero in testa al gruppo mentre la guida con il mio zaino si trovava in coda per questo sudato e bagnato ho cercato di ripararmi in una nicchia del monastero di Tengboche. Credo che questa sia stata la causa del peggioramento “verticale” del e mie condizioni di salute che la fredda notte trascorsa all’Ama Dablam Garden Lodge ha ulteriormente aggravato.
Tengboche – Periche: Venerdì, 21 ottobre – altitudine 3860 - 4410m
Dopo una notte di tregenda al e 6.00 mi sveglio e sbircio dal a finestrella del Lodge:
Pioggia e nebbia! Rabbrividisco perché al raffreddore e al mal di gola, il disastroso finale
del a tappa di ieri mi ha procurato anche una bel a bronchite.
Per fortuna quando, alle 7.30, ci mettiamo in marcia sotto la spettacolare vista della
maestosa Ama Dablam (6.814), un timido sole fa capolino ed inizia a riscaldare la
giornata. Bir Kaji mi segue da vicino e gentilmente mi porta lo zaino facilitandomi così
l’impegno.
Con una breve discesa entriamo in un idilliaco bosco di ginepri, rododendri e abeti,
attraversiamo radure costellate di "mani" (muri di pietre delle preghiere) e ci riportiamo al
fiume che attraversiamo grazie ad un altro ponte sospeso pavesato di drappi bianchi e
bandierine di preghiera multicolori.
Sul versante opposto risaliamo a Pangboche, dove superiamo quota 4.000m., il respiro
diventa più affannoso e dove mi imbatto, per la prima volta, in un “convoglio”
scampanellante di Yak stracarichi di taniche di gasolio e con le corna infiocchettate.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo l'Himalaya View Lodge di Periche (4.280) dove
l’Himalayan Rescue Association (HRA) gestisce una clinica/consultorio per trekkers e
portatori, nei periodi di maggior afflusso.
Bir Kaji era arrivato poco prima di me ed era sulla porta del Lodge ad aspettarmi
sorridente per prendermi i bastoni e porgermi una tazza bollente d’acqua calda e limone
liofilizzato.

Periche – Lobuche/Piramide CNR: Sabato, 22 ottobre – altitudine 4410-5050m
E raccontiamola questa giornata “No Limits”. Dopo una notte trascorsa in parte insonne ad
oltre 10° sottozero che mi ha fatto apprezzare la qualità del sacco a pelo, al e 6.00 mi
preparo ed esco in un silenzio totale ad ammirare un’alba splendida con un cielo che i
primi raggi del sole il uminava progressivamente cancel ando le stelle e dove all’azzurro
intenso si accavallavano “pennellate” di color rosa-arancio-dorato.
Era il giorno del compleanno di mio figlio Andrea e a lui ho dedicato quel e immagini e
quel ’atmosfera che per qualche istante mi ha messo in “contatto stel are” con lui.
Dopo una colazione a base di pane e marmellata, tè caldo ed antibiotici ci siamo avviati per superare quota 5.000.
Risaliamo la valle verso il ghiacciaio del Khumbu con vista splendida sul e cime del Pumori (7.145m) e del Nuptse (7.879m) e dopo aver superato il Thokla Pass (4.830m) dove sono stati innalzati diversi Chorten (monumenti commemorativi) in ricordo degli Sherpa e di alcuni alpinisti stranieri che hanno perso la vita sulle più alte vette del Khumbu, si raggiunge la morena terminale del ghiacciaio che proviene direttamente dall'Everest. Dopo una breve tappa a Lobuche (4.939m) raggiungiamo la Piramide del CNR (5.050m) nascosta poco oltre, in una val etta morenica.
Quando arriviamo ci sembra d’essere “a casa”: Beppe Monti, il gestore, ci accoglie con un gran sorriso quasi ci fossimo lasciati da poco tempo e ci apostrofa con un cordiale “benvenuti! Prima una doccia e poi ….Spaghetti e ragù per tutti”?: per poco non svengo dal a gioia.Il mio stato di salute peggiorava costantemente ma devo dire che la prospettiva di avere il nostro “campo base” in Piramide con un vero letto e servizi “interni” mi era di gran conforto. Oramai Bir Kaji aveva deciso di non perdermi più di vista e continuava a procurarmi acqua bollente e sale per gargarismi ed acqua bollente e limone da bere. La gioia è stata poi enorme quando ho potuto parlare al telefono con Clara grazie al satellitare in dotazione alla Piramide: emozionato, di notte alle 8,30 locali sotto le stelle e sotto zero ero talmente emozionato che non riuscivo quasi a parlare. Sentire la sua voce è stato come averla accanto “dolce ed affettuosa”. Piramide: Domenica, 23 ottobre – altitudine 5050m
La giornata era programmata per acclimatarsi, conoscere le attrezzature dei laboratori
del a Piramide e per del e esercitazioni pratiche di alpinismo in alta quota con relative
tecniche di soccorso.
Io ne ho approfittato per cercare di recuperare il mio stato di salute ed organizzare gli
appunti di viaggio. Beppe Monti è stato con me e mi ha raccontato la storia e gli aneddoti
del a Piramide.
Kala Pattar – Everest: Lunedì, 24 ottobre – altitudine 5050 – 5550 - 5050m
Il giorno di riposo mi ha consentito di recuperare un pò e pertanto, di buon mattino, parto
con il gruppo per l’evento che rimarrà il più importante dell’intero viaggio: scalare il Kala
Pattar per vedere da vicino i “Giganti della Terra” prima di tutto l’Everest e poi il Pumori, il
Nuptse, il Lhotse con le altre creste di confine con il Tibet.
Fa freddo al mattino, ma un bel sole provvede a riscaldarci, mentre con passo regolare ci
dirigiamo a Nord-est risalendo la parte destra del ghiacciaio del Khumbu. Passato il lago
prosciugato di Gorak Shep (5160 m) ai piedi del Pumori e in faccia all’impressionante
parete Ovest del Nuptse, affrontiamo la salita al Kala Pattar che è abbastanza ripida e
diretta. Dall’alto l’immagine del letto del ghiacciaio e del e morene createsi dalla pressione
del a sua spinta è alquanto impressionante: nessun segno di vita, un profondo silenzio
rotto solo dal rumore dei sassi spostati dal nostro camminare, rocce scure grigio-nere
accaval ate longitudinalmente in enormi trincee.
L’ambiente avrebbe l’aspetto di girone dantesco se non fosse per il contrasto del candore
del e nevi perenni che segnano il confine tra la terra e l’universo.
Raggiunta la vetta del Kala Pattar, letteralmente ricoperta di bandiere votive dai mil e
colori, mi sono issato in piedi sul “mezzo metroquadro” del suo apice ed ho “toccato il cielo
con un dito” dalla gioia, mentre ammiravo la visione “mozzafiato” dell’Everest e del a sua
corona di montagne “minori”.
L’Everest ha un portamento “maestoso” e non si lascia ricoprire completamente dalle nevi
come le altre montagne: fa vedere bene la sua “corazza” di roccia grigio scuro, quasi nera
come a sottolineare che la sua “altezza” è tutta vera!
“Più alto del cielo” è il significato del nome “Sagarmatha” con il quale è chiamato in lingua Nepalese: seduto subito sotto la vetta del Kalapattar riflettevo che da dove mi trovavo ben 3.228 metri al di sotto del suo punto più alto. Questo significava praticamente una “Marmolada” di differenza! Sulla via del ritorno al campo base, in Piramide, riflettevo sulle difficoltà affrontate e le eccezionali doti di quanti si sono misurati per raggiungerne la vetta e immaginavo di “sentire” le loro emozioni.
Piramide: Martedì, 25 ottobre – altitudine 5050m
Appagato da quanto visto, ho evitato di effettuare altre escursioni. In Piramide mi sono
riposato per recuperare un po’ la condizione e così ho dedicato il tempo a completare la
messa in ordine degli appunti e delle riflessioni di questo viaggio.
Dopo i problemi influenzali ho dovuto toccare con mano anche gli effetti del “mal di
montagna” (cefalea, incremento d’urine, insonnia e apnea notturna) che, a differenza di
Maurizio e degli altri amici, non potevo combattere con il Diamox vista la forte terapia
antibiotica che stavo già adottando.
Oltre i 5.000 metri, soprattutto di notte, si sentono gli effetti del problema e in quelle sere la
Piramide ….era continuamente illuminata dai fasci di luce delle torce frontali che facevano
la spola tra le camerate e i bagni!

Piramide CNR-Tyangboche: Mercoledì, 26 ottobre – altitudine 5050 – 3870”
E’ nel a strada di rientro a Tyangboche che corro il rischio più grosso di tutto il viaggio:
Camminavo in testa al gruppo assieme a Bir Kaji quando, in uno stretto sentiero inciampo
su un sasso e perdo l’equilibrio, così comincio a rotolare lungo il costone sassoso tra i
piccoli con piccoli cespugli che scendeva a valle.
Mentre pensavo a rallentare la caduta dopo il secondo “salto mortale” al argando le
gambe, una mano forte e decisa mi blocca per una spalla: era proprio Bir Kaji che
vedendo quello che stava succedendo si è lanciato alla mia rincorsa e con un gran balzo
mi ha bloccato “al volo”. Grazie a lui e allo zaino che ha attutito le cadute e mi ha protetto
“l’osso del col o” non ho avuto gravi conseguenze fatte salve un po’ d’ammaccature ed
escoriazioni lungo il corpo. Quanto era capitato ha rafforzato ancor di più il legame
d’amicizia con Bir Kaji che oltre che per l’influenza ora cominciava a preoccuparsi anche
per le mie “botte”.
Tyangboche - Namche Bazar: Giovedì, 27 ottobre – altitudine 3870 – 3445m
Namche – Lukla: Venerdì, 28 ottobre – altitudine 3445 – 2850m
Anch’io come immagino la gran parte dei trekkers sono rientrato a Lukla con il cuore
“pesante”: le montagne, i villaggi e le persone dell’alta val e del Khumbu hanno qualcosa
di veramente “speciale” che questi appunti spero possano ricordare.
Ho tre bellissimi nipotini che mi aspettano a Londra e a Boston: mi piacerebbe un giorno
portarli con me nella valle del Khumbu e raccontare a loro una storia “vera”.

Source: http://www.telecomfuturecentre.it/pdf/Zanini%20Luigi.pdf

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