Psicofarmaci in Psichiatria Dr. Pierluigi Boldri 25 Maggio e 13 Luglio 2012 Associazione UmanaMente
Gli psicofarmaci possono essere suddivisi schematicamente in 4 principali categorie in base ai loro effetti e alle indicazioni cliniche.
Sono farmaci attivi nel disturbo dell’umore di tipo depressivo. Ristabiliscono il normale tono dell’umore in persone che soffrono di depressione. Trovano però indicazione anche nei disturbi d’ansia, di panico, ossessivo-compulsivi, nelle fobie e nei disturbi del comportamento alimentare. Agiscono sul Sistema Nervoso Centrale (SNC) aumentando la presenza e l’attività dei neurotrasmettitori carenti quali la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Hanno poi effetti complessi sui recettori, rimodulandone la sensibilità ai neurotrasmettitori stessi. Ci sono farmaci antidepressivi che hanno un’azione su più neurotrasmettitore ed altri più selettivi neurotrasmettitori. Possono essere distinti in base al meccanismo d’azione: Gli antidepressivi di vecchia generazione sono i triciclici, come ad esempio l’Anafranil, il Tofranil, il Laroxil, il Noritren ecc. che sono sul mercato da circa 50-60 anni. Sono farmaci molto efficaci, e ampiamente testati, ma possono avere fastidiosi effetti collaterali quali secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione urinaria, aumento della pressione endooculare, difficoltà, sudorazione, ipotensione ortostatica, aritmie, diminuzione della soglia anticonvulsivante. Di più recente commercializzazione sono gli SSRI che sono farmaci inibenti in modo selettivo la ricaptazione della serotonina, con risultato l’aumentata disponibilità. Sono farmaci molto efficaci ed hanno ridotta tossicità ed un profilo di effetti collaterali differente che ne fanno i farmaci di prima scelta nella terapia della depressione (effetti generalmente a carico dell’apparato gastroenterico, della sessualità, cefalea ecc). Gli effetti collaterali sono minori proprio per la loro capacità di ricaptazione selettiva. Tra gli SSRI più comunemente usati: Prozac (Fluoxetina), Sereuipin (Paroxetina), Fevarin e Dumirox (Fluvoxamina), Zoloft (Sertralina), Elopram (Citalopram), Cipralex (Escitalopram). Ci sono poi altre categorie come gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina Efexor (Venlafaxina), (Cymbalta, Xeristar (Duloxetina), che sono simili ai triciclici ma con meno effetti collaterali, gli inibitori della ricaptazione della dopamina e della noradrenalina come il Wellbutrin (Bupropione) ed altri (Mirtazapina, Trittico) La terapia con farmaci antidepressivi prevede un periodo iniziale di 4-6 settimane per valutare la risposta al farmaco (si possono aumentare le dosi o cambiare farmaco in caso di assenza di risposta), poi una fase di continuazione della terapia che dura generalmente 4-6 mesi alla quale può o deve succedere una fase di mantenimento che può durare anche diversi anni, in relazione alla storia clinica del paziente. Alcuni pazienti non rispondono alla terapia con antidepressivi ed alcuni rispondono solo parzialmente. Ci sono alcune strategie terapeutiche che si possono attuare in questi casi.
Il nostro umore è soggetto normalmente a oscillazioni nel corso della vita, ma anche della giornata. Non possiamo pensare di essere dello stesso umore tutti i giorni, questo varia anche a seconda di ciò che avviene e di come lo percepiamo e lo viviamo. E’ presente un disturbo dell’umore quando queste oscillazioni sono troppo frequenti e con intensità troppo elevata in senso depressivo e/o maniacale, come per esempio accade per chi soffre di un disturbo bipolare. Gli stabilizzatori dell’umore riducono le oscillazioni patologiche dell’umore permettendo anche di prevenire le ricadute o di attenuarne la gravità e la durata. I più usati sono i Sali di Litio, l’Acido Valproico (Depakin) e la Carbamazepina (Tegretol), Lamotrigina (Lamictal), Topiramato (Topamax). Vengono usati come stabilizzatori dell’umore, oltre ai Sali di litio, farmaci tradizionalmente usati per la cura dell’epilessia. Agiscono sul GABA, acido gamma-ammino butirrico, che è un neurotrasmettitore di tipo inibitorio a livello centrale e diminuisce l’eccitazione contrapponendosi al glutammato, che è un neurotrasmettitore con capacità eccitatoria. Gli stabilizzatori dell’umore hanno effetti collaterali e per alcuni di essi sono consigliati esami regolari del sangue al fine di valutarne il livello nel sangue e gli effetti su alcuni parametri. A volte posso verificarsi alterazioni di specifici esami di laboratorio, cambiamenti del peso, della funzione renale e tiroidea, tremore alle mani ecc. Le terapie con stabilizzatori dell’umore sono in genere terapie lunghe di mantenimento per via del tipo di problematica per cui generalmente vengono usati.
Le Benzodiazepine sono farmaci con effetti ansiolitici, sedativi, ipnotici, anticonvulsivanti e miorilassanti. I più noti sono: Tavor, Xanax, Valium, En, Lexotan, Prazene, Lorans, Minias.). Alcuni di essi hanno effetto ipnoinducente che si verifica a dosaggi inferiori a quelli necessari per l’effetto ansiolitico e sono utilizzati per favorire il sonno (Felison, Dalmadorm, Halcion). Sono i farmaci di più ampio uso e abuso al mondo e vengono usati per disturbi d’ansia, di panico o associati ad altri farmaci nella terapia di altri disturbi. Andrebbero usati solo per brevi periodi. Esistono farmaci ipnotici non appartenenti alla categoria delle benzodiazepine (es Stilnox)
I farmaci antipsicotici, sono così chiamati per l’indicazione elettiva che hanno per il trattamento dei sintomi psicotici come allucinazioni, comportamento agitato, disturbi del pensiero, disorganizzazione comportamentale. Vengono però utilizzati anche nei disturbi bipolari o nei disturbi d’ansia particolarmente importanti. Attualmente gli antipsicotici si dividono in due gruppi: i neurolettici di prima generazione, scoperti negli anni ’50, vengono chiamati TIPICI (es serenase, haldol, entumin, talofen, largactil ecc.), e quelli di seconda generazione detti ATIPICI (zyprexa, seroquel, risperdal, leponex, abilify ecc.). Questa divisione si basa sui maggiori effetti collaterali di tipo extrapiramidale che determinano gli antipsicotici tipici, a differenza degli altri, e sulla base del profilo dei recettori sui quali agiscono. I principali effetti collaterali consistono in disturbi del movimento come la distonia, l’acatisia (irrequietezza motoria e soggettiva), il tremore, la rigidità, il rallentamento motorio, disturbi gastrointestinali, cardiologici, sulla sfera sessuale. A seguito di somministrazione a lungo termine di antipsicotici atipici si può produrre un disturbo del movimento ipercinetico noto come discinesia tardiva, caratterizzato da
movimenti ritmici e involontari del volto, della lingua e della mandibola, e da movimenti degli arti che possono essere rapidi o scattanti o coreiformi (simili a una danza). I farmaci antipsicotici vengono dati in modalità di somministrazione varie: orale, intramuscolare, raramente in via endovenosa, oppure in forme ad azione ritardata o deposito. Il Leponex è un farmaco che viene usato per le patologie schizofreniche che non hanno risposto ad altri farmaci. E’ buona prassi provare prima gli altri antipsicotici e solo in un secondo momento il leponex. Generalmente il Leponex ha effetti collaterali meno pesanti di altri antipsicotici come il Serenase, ma lo stesso può produrre effetti spiacevoli come molta salivazione o secchezza delle fauci, sedazione, abbassamento della pressione, effetti ematologici.
Gli psicofarmaci generalmente vengono assunti per via orale (in preparazioni pronte in cpr, cps o gocce, o a rilascio prolungato). Altre modalità di assunzione sono quella intramuscolare e molto raramente quella endovenosa. Una particolare modalità di assunzione di un farmaco è quella detta “Depot” che significa deposito e si riferisce a particolari formulazioni di(come per esempio Moditel Depot, Clopixol Depot, Haldol decanoas) che consentono l’accumulo nel distretto di somministrazione ed il graduale e lento nel tempo della sostanza terapeutica somministrata. Il farmaco quindi è disciolto in particolari veicoli oleosi che ne consentono lo stoccaggio nel muscolare (tramite intramuscolare profonda).
La dipendenza è associata ad altri due concetti: 1) la tolleranza, quando per ottenere lo stesso effetto bisogna aumentare le dosi, oppure quando alla stessa dose l'effetto è sempre minore; 2) la sindrome di astinenza in caso di brusca sospensione del farmaco. I tranquillanti sono i farmaci che maggiormente danno dipendenza, molto meno gli antipsicotici ma non è sempre vero che chi assume farmaci da tanti anni diventa comunque dipendente; è sempre utile fare considerazioni rispetto ai rischi e ai benefici delle terapie, valutando caso per caso la storia dei pazienti.
INTERAZIONE FUMO/PSICOFARMACI e ALCOOL/PSICOFARMACI
Alcuni stili di vita che prevedono l’uso di alcool e fumo non vanno molto d'accordo con le terapie a base di psicofarmaci. Nelle sigarette ci sono tanti composti che vanno ad interagire con il cervello e naturalmente con le sostanze che sono attive sul cervello come i farmaci. Il fumo in genere riduce l'effetto dello psicofarmaco, perchè tra gli effetti vi sono quelli di far aumentare la pressione, produrre tachicardia e aumentare la vigilanza. Uno è più sveglio quando fuma, per cui se si prende un farmaco tranquillante per dormire si dorme peggio o per avere sedazione, tale effetto del farmaco è minore. Poi c’è l’effetto del fumo sul fegato e sugli enzimi che vanno a lavorare anche i farmaci ed in questo caso il fumo invece facilita il metabolismo dei farmaci, per cui spesso farmaci come la clozapina, l’olanzapina hanno meno effetti. Fumare riduce l’effetto di molti psicofarmaci e fa stare peggio perché il farmaco riesce meno a curare il problema per cui è stato dato. Il fumo ha degli effetti pericolosi di interazione per cui bisogna aggiustare la dose del farmaco. Bisognerebbe smettere di fumare anche per gli effetti nocivi dei componenti del tabacco su tutti i distretti corporei.
L’alcool come il fumo, soprattutto se abusato, danneggia diversi tessuti e organi del corpo, a partire dallo stomaco e da fegato, ma soprattutto quando si assumono psicofarmaci bisogna stare molto attenti perché è un po’ come il fumo e va ad agire nelle stesse zone del cervello in cui agisce lo psicofarmaco aumentandone gli effetti sedativi. Se si prendono tranquillanti o neurolettici e ci si mette sopra dell’alcool sommiamo due effetti sedativi. Poi abbiamo l’interazione con gli enzimi del fegato che metabolizzano anche i farmaci, con effetti imprevedibili. Bisognerebbe non bere alcoolici e fumare poche sigarette. Non è facile, ma mischiando queste sostanze si possono ottenere effetti dannosi o anche non avere effetti positivi come si dovrebbe. Possono provocare danni irreversibili? Se andiamo a mischiare psicofarmaci e alcool l'interazione può diventare molto pericolosa. Salendo di quantità o gradazione le reazioni possono essere più gravi, fino al coma e questo ovviamente può essere anche irreversibile. Qualora una persona volesse festeggiare con un bicchiere di vino in una occasione speciale, cosa dovrebbe fare? Dipende da tante cose, ci sono persone che riescono a metabolizzare l’alcool meglio di altre e generalmente sono coloro che hanno sempre avuto l’abitudine di bere poche quantità di alcoo (es un bicchiere di vino a tavola) ed hanno gli enzimi per metabolizzare meglio; poi ci sono differenze rispetto al peso, al sesso e a tanti altri fattori. La regola generale vuole che chi prende psicofarmaci non deve assumere alcool. Andando a buon senso però possiamo dire che se una persona beve una birra e contemporaneamente prende due zyprexa e due tavor io credo che non vada bene, se invece una persona prende una fluoxetina la mattina e prima di andare a letto un tavor e alle nove di sera beve una birretta con gli amici, magari in occasione di una festa o in occasione di una bella e gratificante serata in compagnia, possiamo dire che l’impatto dell’alcool è in questo caso minore. Come regolarsi con il proprio medico sapendo con anticipo di voler bere un bicchiere di vino o birra, premettendo quanto è importante essere sinceri? Consiglierei senz’altro di astenersi dall’uso di alcolici o di bere quantità veramente minime (un bicchiere di birra o un bicchiere di vino, possibilmente ai pasti, assolutamente niente super-alcolici) e non assumere contemporaneamente alcool e psicofarmaci. Ci sono farmaci più fastidiosi con l’alcool come i tranquillanti per cui se si devono prendere è meglio aspettare diverse ore, spostando l’orario di assunzione della terapia.
Il placebo è una sostanza inattiva che non ha alcun effetto specifico sulla patologia che si dovrebbe curare. L’effetto però è reale, ma non vi è alcun principio attivo. Ci sono molti studi sull’effetto placebo anche riguardanti persone che soffrivano di forti dolori e che si sentivano stare meglio dopo la somministrazione di un placebo. Il placebo funziona perché la persona si aspetta qualcosa, perché il medico che da un placebo lo propone come una sostanza efficace e il paziente ha fiducia, perché la persona può essere più o meno suggestionabile. C’è un effetto molto interessante che si chiama effetto nocebo per cui la persona pensa di avere anche gli effetti collaterali del farmaco che pensava di aver preso. I farmaci vengono testati proprio attraverso l’uso di placebo: vengono fatti con due campioni di volontari, ad uno viene dato il farmaco da testare e all’altro un placebo senza essere informati sulla sostanza assunta. Se il risultato di coloro che non hanno assunto il placebo è risultata migliore di quelli che hanno preso il placebo allora il farmaco viene ritenuto efficace.
Ricordiamo però anche che tutti i farmaci psicoattivi hanno comunque un effetto definito placebo che va oltre l’effetto dello stesso principio attivo.
I farmaci costano molto appena usciti perché le aziende mettono molti soldi per la ricerca e per testarli per cui devono rientrare quando mettono sul mercato il prodotto. I farmaci nascono con un marchio proprio perché l’azienda spende i soldi, ma dopo 20 anni scade il brevetto e l’esclusiva, per cui anche le altre aziende farmaceutiche possono produrre lo stesso farmaco. Nascono quindi i generici o farmaci equivalenti che contengono lo stesso principio attivo, hanno la stessa forma farmaceutica, le stesse indicazioni, gli stessi standard di qualità e sono bioequivalenti. Qualche differenza può esserci nei farmaci a rilascio prolungato ma per problemi legati al meccanismo di rilascio stesso. Generalmente quando scade un brevetto anche i farmaci di marca abbassano il costo. Sono rimasti pochi i farmaci ancora sotto esclusiva di brevetto (cipralex, enctact, xeristar, cymbalta), ellbutrin). Per cui se il medico scrive sulla ricetta un farmaco e il farmacista ve ne da un altro equivalente non vi sono problemi. Il medico però può scrivere espressamente “non sostituibile”.
Nell’atto della prescrizione del farmaco, quando il medico concorda con il paziente la terapia farmacologica è fondamentale che nasca un alleanza. La stessa efficacia del farmaco può scemare se viene presentato male e non sono capiti i motivi della prescrizione. L’alleanza è essere insieme nella cura, è condividere, è fare un contratto e, quando è possibile, per il paziente dire in cosa si trova d’accordo e cosa no. Si deve sentire libero di dire cosa pensa e quali effetti ha il farmaco su di lui. Non esistono medicine cattive o buone, esistono cattive prescrizioni e medicine non adatte per tutte le situazioni o tutti i pazienti. All’interno di una buona alleanza si può trovare il farmaco migliore per quel particolare paziente. Il farmaco perde di efficacia se non si colloca all’interno di un rapporto di fiducia e rispetto. Spesso ci sono persone che non vogliono prendere psicofarmaci. E’ fondamentale spiegare tutto del farmaco e cercare un’alleanza terapeutica che fissi obiettivi comuni, soprattutto nelle terapie che richiedono lunghi tempi di somministrazione. L’interruzione della terapia non concordata non è mai una buona cosa, è ciò che fa saltare i percorsi di cura. Comporta il rischio di avere una ricaduta o una recidiva. All’interno di una buona alleanza, basata su condivisione, scambio, fiducia, un paziente non dovrebbe mai trovarsi ad interrompere la terapia. Può succedere che quando mi sento bene decida di sospendere il farmaci senza concordarlo con il medico e sospendendolo mi senta ancora bene. Posso arrivare a pensare che interrompere il farmaco sia stata una buona idea perché magari per un certo periodo sto bene, mi sento bene. Poi cosa succede?! Che mi arrivano, anche a distanza di molti giorni, sintomi che possono essere da sospensione ma anche, caso più grave, da ricaduta della malattia. Quindi, improvvisamente può succedere che mi torna l’angoscia con tutti gli altri sintomi. La persona che interrompe il farmaco e non lo dice a nessuno si mette nelle condizioni di stare male di lì a poco. Emivita. È un parametro per la descrizione farmacocinetica di una poiché indica il tempo necessario a ridurre del 50% la concentrazione plasmatica. I farmaci hanno emivita diversa e questa certamente, anche se non è l’unico concetto che influisce, c’entra negli effetti che seguono ad una loro sospensione. Questo è un problema soprattutto quando si interrompono bruscamente le terapie, come per esempio con gli ansiolitici che hanno un emivita breve. Un farmaco con un’ emivita più
lunga che viene sospeso bruscamente ha effetti un po’meno gravi e improvvisi a livello di sintomi di astinenza. L’emivita condiziona chiaramente anche la scelta della terapia e la somministrazione. Un farmaco con emivita lunga può venir somministrato meno volte. Anche il ricovero spesso purtroppo avviene quando si viene a interrompere la fondamentale alleanza che si diceva prima e per questo possiamo sostenere che molti ricoveri sarebbero evitabili. Certo che il ricovero può avvenire quando c’è nella vita del paziente un momento di particolare crisi o difficoltà anche se si stanno assumendo le terapie, oppure quando temporaneamente viene meno la rete sociale e familiare, ma molti volte i ricoveri si potrebbero evitare, mantenendo una buona alleanza con il proprio curante e condividendo i percorsi terapeutici senza interromperli. Cambiamento di terapie in fase di ricovero. Le terapie spesso sono varie e composte da più categorie di farmaci. Supponiamo che si arrivi ad un ricovero in seguito ad un momento di crisi che la persona non si sente di superare a casa. L’esperienza comune è che spesso la terapia durante il ricovero viene modificata per due principali motivi:
1) quel tipo di assortimento di farmaci ha perso di efficacia per cui viene fatta una
modifica che sia più in linea con lo stato attuale del paziente. Questa modifica viene fatta in accordo sempre con il medico curante ed inserita all’interno del piano farmacologico di cura.
2) il secondo motivo può essere, se vogliamo, più banale e risiede nella
professionalità del medico curante che in ospedale prende in carico il paziente. Quel medico che vede quel particolare paziente potrà utilizzare la propria personale formazione ed impostare il piano terapeutico utilizzando le proprie personali preferenze di farmaci. Generalmente però vengono attuate modifiche sempre in accordo con lo psichiatria del CSM che ha in cura la persona.
3) Il terzo motivo può essere dettato conseguente ad un periodo di non assunzione
del farmaco da parte del paziente, per cui si approfitta di questa situazione per ripartire “da zero”, magari con farmaci più recenti.
A volte si contrappongono queste due tecniche terapeutiche: o la terapia della parola o la terapia del farmaco, come se fossero incompatibili. Non lo sono affatto! Sono due tecniche che dovrebbero andare di pari passo e possono iniziare in alcune situazioni anche nella stessa fase. Altre volte invece, come durante una fase particolarmente acuta, in cui per esempio la persona sta delirando e ha allucinazioni, c’è bisogno subito di utilizzare farmaci, ma in un secondo momento emerge comunque la necessità di capire cosa è successo e la psicoterapia può essere molto utile per aiutare la persona ad elaborare quello che è successo. In alcuni tipi di disturbo poi, come ad esempio le depressioni sottosoglia o lievi, la psicoterapia o altri interventi come il counseling o l’auto mutuo aiuto, sono addirittura interventi prferibili alla somministrazione dei farmaci. In generale, gli interventi nell’area psicologia sono molteplici e vanno ad integrarsi con le terapie farmacologiche.
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Substance misuse in patients with schizophrenia: a primary care guide THE VAST MAJORITY of people with schizophrenia misuse substances, but this comorbidity is frequently under-recog- nised and poorly addressed. Between 60% and 90% of■ Smoking presents a substantial health and economic burden people with schizophrenia smoke cigarettes,1 which has a■ Comorbid use of other substances is co